lunedì 29 febbraio 2016

"Il tuo dolore è il mio dolore."

Ho paura. ho paura della pioggia, dei fulmini. ho paura di non svegliarmi domani, di uscire domani. ho paura degli altri, delle loro domande. ho paura di parlare troppo, di dire cose stupide. ho paura di quello che verrà, di quello che mi aspetta, di questi mesi di studio intenso. ho paura di fallire, ancora. ho paura di non farcela, di mollare. ho paura di sbagliare ancora. ho paura, ho paura, ho paura.
Ho paura di dover soffrire ancora, come se potessi ancora.
Ho paura di non avere più la forza per piangere, per concedermi di abbandonarmi alla sofferenza. Ho paura di non avere più la forza di disperarmi.
Ho paura di incontrare lo strizzacervelli mentre raggiungo l'aula. Ho paura di quei posti in cui andavo ogni venerdì a parlare con lui, a fissare il vuoto.

Ho paura del calendario sul muro, pieno di scadenze, pieno di pagine da studiare. Ho paura di crollare. Ho paura di mollare.

Ho paura perché tu non sarai con me.
Ho paura perché ti ritrovo anche in un libro fantasy.
Ho paura perché il mio dolore non è più il tuo, e forse il tuo non è più il mio.
Ho paura perché mi mancano le tue mani tra i capelli, il mio viso tra le tue mani, le tue dita che asciugano le mie lacrime, le tue braccia tra il cappotto e il maglione.
Ho paura perché non mi accompagni alla macchinetta del caffè, perché non ci scambiamo bigliettini pieni di commenti cattivi, per gli intervalli in corridoio attaccati al termosifone.
Ho paura perché è finita tanto tempo fa, ma fa male ammetterlo.

Perché ho avuto bisogno di condividere con te il mio dolore, ma tu hai smesso di renderlo tuo prima che io fossi pronta a fare a meno di tutto ciò.
Ho imparato a soffrire da sola, letteralmente. ed ora è come se tu fossi andato via, con quel dolore. quel dolore che mi sono lasciata alle spalle. quel dolore che a volte vorrei provare per poter dire di essere viva. di avere ancora un'anima, un cuore.
Sei con me, e non lo sei.

mi asciugavo i capelli, prima. e pensavo a quando seduti sul letto mi asciugavi i capelli dopo un pomeriggio al mare. le tue mani tra i capelli, sul collo...
non so da quanto non mi sento così. e non so se mi sentirò ancora così, forse non con te.

Mi hanno detto che ho gli occhi di una che non vede l'ora di poter dimostrare il proprio affetto.
un affetto che non ti mostro più. me l'hai rubato. e io sono stata pronta a dartene ancora, e ancora, e ancora. ma non l'hai più voluto. l'hai ignorato. hai ignorato i miei occhi, forse è passato troppo tempo dall'ultima volta in cui mi hai guardato davvero negli occhi.
L'hai ignorato, come tutti.
come tutte le persone a cui ho, a modo mio, chiesto di restare e sono andate via.
come tutte le persone a cui ho chiesto attenzioni.
come tutte le persone che non mi hanno accettato nella loro vita.
per cui ero "una".

esattamente come tutti quanti.

ed io ho paura, ho paura di quel che sarà di me. dopo tutto questo.
ora che so, so di non amarti più... perché il dolore ha prosciugato tutto l'amore che avevo ancora da darti.
ho paura di quel che sarà di noi, dopo questi ultimi giorni di tranquillità che ci restano. che si separano dalla verità.

dell'amaro in bocca, delle parole non dette, dei gesti mai compiuti.

ho paura.
ho paura di quel momento in cui potrei dirti che ce l'ho fatta, ma non lo farò. non lo farò perché non sarai più la prima persona, il mio primo pensiero.
ho paura.

lunedì 15 febbraio 2016

Quattro anni fa circa scrivevo la prima volta un post su questo blog.
Quasi tre anni fa ho smesso di scriverci.
Il mio ultimo post risale alla maturità, alla felicità che ho provato quando ho realizzato di essere libera, di non dover più vedere nessuno, parlare con quelle persone, vederle ogni mattina. Scrissi, così, un accenno ai risultati degli scritti, alla paura della delusione, alla felicità che mi avrebbero nuovamente negato.
una felicità che nel tempo mi avevano sottratto, che mi avrebbero sottratto anche all'epoca probabilmente ma che io mi sono vietata. ho preferito mollare, ho mollato letteralmente. per non ricevere un'altra delusione. per godermi il momento, quella felicità, quella libertà, quei sonni tranquilli che ormai non facevo da tempo divorata dai loro giudizi, dalle loro pressioni, dalle loro aspettative, dai miei metri di giudizio, dalle mille incomprensioni mai risolte.
E' passato tanto tempo, tante ore di analisi.
Molte persone sono entrate nella mia vita, soprattutto per uscirne.
Ho fatto tante esperienze, incontrato tanta gente. ho visto di peggio, vissuto di peggio. mi sono anche mancati. ho dovuto ammettere tante cose, soprattutto ( forse solo ) a me stessa. non troverò più persone come loro. forse solo peggio. mi sono sentita amata e molto sola. sola con quello che è il mio modo di essere, che loro conoscevano, che loro accettavano, che loro condividano. forse per questo non potevamo essere amici. mi sono sentita sola con le mie passioni, con i miei hobby, che in fondo erano anche i loro. i nostri argomenti. è stato così terrificante che per un po' ho dimenticato chi fossi. come era la vera me. chi ero prima.
Ma non ho avuto il coraggio, il coraggio di scrivere quello che mi succedeva. sarebbe stato troppo doloroso, non avrei voluto rileggere di quei momenti.
Ma oggi, oggi sento che devo farlo.
Sto male, mi fa male il cuore, anche in senso fisico. mi fa male per davvero.
All'epoca, quattro, cinque anni fa questo senso di malessere l'avrei curato con un digiuno, con qualche colpo allo stomaco per sentire meno male. Qualche tempo dopo avrei mangiato un pacco di biscotti. Qualche tempo dopo ancora mi sarei nascosta sotto le coperte pensando che tutte quelle medicine non sarebbero mai servite a nulla, che sarebbe stato meglio morire.
Poi ho imparato a piangere, a rispettarmi, a metabolizzare il dolore, le delusioni, gli abbandoni, la solitudine, le incomprensioni. ho aperto il mio cuore, ho lasciato che pensassi con quello. ho lasciato che la sofferenza diventasse un baratro in cui mi sono poi buttata, senza avere la forza di uscire. ho abbandonato la mia razionalità. ho abbandonato il mio essere. perché me l'hanno contestato, perché mi hanno detto che non potevo controllare tutto, che non potevo ignorare ciò che il mio corpo chiedeva, quello di cui la mia mente aveva bisogno. me l'hanno detto, e io ci ho creduto. Ho davvero creduto a quello che ho scritto nel febbraio 2012, che io non fossi un numero e che non dovevo giudicarmi così.
E forse nei momenti di lucidità posso ancora pensarlo e spesso il mondo fuori me lo conferma.
Ma no, non voglio più sentirmi come mi sono sentita negli ultimi tempi.
Come mi sono sentita quel giorno di inizio marzo, una misera nullità.
C. avrebbe interrogato sul Purgatorio, e io odio la Divina Commedia. Dovevo andare al centro, ed incontrare lo psichiatra, quando tornai non avevo voglia di ripetere gli ultimi due canti. Mi chiese l'ultimo. Non andò molto bene, non come avrei voluto, andò meglio a S. e questo mi fece sentire davvero una stupida. Dopo qualche giorno stavo già studiando Goldoni. alla successiva interrogazione presi 9, più di tutti, all'interrogazione a cui tutti erano andati peggio del solito. IO VINSI. Odiavo la parafrasi, eppure non battei ciglio alla domanda sui sepolcri.
Stamattina, come spesso negli ultimi tempi, ho perso.
Ho perso perché per vincere la malattia ho perso anche me stessa. Perché l'anoressia e la depressione si sono portate via pezzi di me.
Ho perso perché ho smesso di lottare.
Ho perso anche ora, proprio ora che avevo ricominciare ad affilare le unghie.
Per questo devo scrivere. Per questo devo mangiare, non devo farmi tentare. Lo devo a chi il giorno di quell'interrogazione mi disse "lascia stare, la prossima volta potrai dare il meglio di te". Glielo devo, perché in fondo ha sofferto con me, perché forse davvero è l'unica persona che ha sempre creduto in me, anche quando ho smesso di farlo io.
Io non sono un numero, e questo lo so.
Ma non sono peggio di chi dopo tanto tempo ancora non distingue una chinasi da una fosfodiesterasi.
Io lo faccio con passione, e se non basta, farò di meglio. e se ancora non basta, non farò altro.
Se vorrà dire che dovrò di nuovo ignorare i miei bisogni, i miei sentimenti, tutto, io lo farò.
perché nulla mi ha mai fatto stare male così, nulla. niente può annullarmi, se non smettere di essere quello che sono, ignorare come sono nata e quello di cui ho bisogno per essere felice. non ho mai avuto molto, in fondo. e sentirmi gratificata per i risultati del compito di matematica, era tra le cose che più desiderassi, che più mi rendevano felice.
e tutti questi anni di analisi, questi soldi spesi, queste lacrime versate, avevano un solo scopo, la mia felicità. e sti cazzi se il mondo dice che non si può basare la felicità su queste variabili, se non si vuole finire in un baratro... perché io ci sono finita lo stesso. e ora devo risalire, e per risalire senza cadere in tentazioni strane dovevo scrivere.